Scuole dell’infanzia del Comune di Milano e maestro unico
Pubblicato da Marcella De Carli
Ecco, ho letto l’articolo di Repubblica e mi dispiace dire che la bravissima e gentilissima Zita Dazzi secondo me ha preso una cantonata. Mi spiego. Il sindacato Sdl (che mi pare possa essere una “fonte”) ha messo in giro questo volantino in cui lega tre cose che tra loro centrano sì, ma solo indirettamente, ovvero:
- la riforma gelmini
- il maestro unico
- l’adeguamento agli orari “statali”
Allora, sembra quasi che gli orari delle Scuole d’infanzia statali cambieranno dall’anno prossimo e che il comune si adeguerà. Non solo, parebbe così che sia passato il modello del maestro unico alla materna. Non è così!!!!
Io insegno in una scuola statale, il contratto è diverso da quello comunale perchè prevede 25 ore settimanali a fronte delle 30 del Comune. Ovvero 5 ore al giorno contro le 6 del Comune. Significa che, se la scuola è aperta dalle 8 alle 16, un’insegnante fa dalle 8 alle 13, l’altra dalle 11 alle 16. Compresenza di 2 ore soltanto durante il pranzo.
E’, oggettivamente, poco, molto poco.
Se il Comune volesse adeguarsi allo Stato (ma a quello che già c’è, non c’entra nulla la Gelmini!), potrebbe ipotizzare degli orari tipo: un’educatrice 8/14, l’altra 10/16. Significano comunque quattro ore di compresenza al giorno contro le due dello Stato. Dov’è il maestro unico?
Se poi vogliamo dire che questo andrà ancora di più a scapito della qualità è verissimo. Passeremmo da 5 ore di compresenza (ora una educatrice fa 9/15 e l’altra 10/16, il pre-scuola e il dopo-scuola sono organizzati a turno) a quattro. Riconosco che essere in due piuttosto che da soli spesso è meglio, soprattutto con classi sempre più numerose, con bambini con difficoltà privi di sostegno, con scarsità perenne di materiale e senza nessuna formazione permanente. Io faccio una fatica boia da sola per tre ore, spesso senza il sostegno etc etc….
Però è importante dire le cose giuste. Non ci sarà nessun maestro unico. Semplicemente sarà sempre peggio!
Corrado Guzzanti nel 2001….
Pubblicato da Marcella De Carli
E finalmente gli stranieri siamo noi!
Pubblicato da Marcella De Carli
Oggi queste notizie a confronto mi fanno pensare a come lo spauracchio della crisi stia lentamente lavorando le coscienze. Non che in Italia prima mancassero voci razziste e, ahimè, anche atti, ma è vero che ora è come se la gente si sentisse autorizzata a non fare mistero di quel che pensa. Meglio di quel che non pensa. Ed è vero che questo accade perchè la politica ha perso ogni pudore e senso di responsabilità. Insomma, se Berlusconi dice che le belle ragazze sono violentabili, perchè mi devo stare bbbuono? Se la lega sostiene che esiste una purezza della razza padana contro la società multiculturale, perchè non devo massacrare di botte uno straniero? Se Cota vuole fare le classi differenziali per i bimbi stranieri, perchè io devo volere che i miei figli giochino con quelli dei miei vicini marocchini?
E tornando alla crisi, con questa si giustifica tutto. L’ho sentito l’altra sera da Santoro il ragazzo leghista che sosteneva che il suo lavoro fosse a rischio per colpa degli stranieri, che, dato che potevano essere assunti tramite cooperative con contratti del cavolo, finendo per costare meno alle aziende, avrebbero rubato il posto agli italiani…E allora, speriamo che qualcuno rifletta su quello che gli inglesi dicono di noi….
A Nettuno un corteo di protesta
Tafferugli con militanti di destra
Il corteo di solidarietà a Nettuno dopo la violenta aggressione all’immigrato indiano
ROMA - A Nettuno è il giorno della rabbia e delle proteste. Dura la condanna da tutte le parti politiche e dalla società civile alla brutale aggressione all’immigrato indiano, unanimi i commenti che esprimono “indignazione”, “rabbia” e “necessità di fermare la violenza”. Ma, intanto, tra schieramenti opposti monta la polemica sul clima di odio e la responsabilità politica che lo alimenta. E nel tardo pomeriggio ci sono stati tafferugli tra manifestanti e alcuni militanti di destra al corteo di solidarietà organizzato a Nettuno dall’associazione multiculturale Soweto.Attorno alle 18 alcuni immigrati e italiani si sono radunati davanti al municipio della cittadina. Non appena il corteo è partito c’è stato uno scambio di insulti tra i manifestanti e un gruppo di giovani di destra che avevano fatto battute contro gli stranieri. Le forze dell’ordine sono intervenute per sedare gli animi e il corteo è andato avanti senza problemi. “Ma quale pacchetto sicurezza - Cittadinanza per tutti”, “Siamo tutti immigrati”, sono gli slogan degli striscioni. I cittadini si sentono colpiti e indignati. Mentre la comunità indiana - circa 5mila persone - che vive e lavora a Nettuno e sul litorale a sud di Roma esprime paura, incredulità e rabbia.
“Siamo gente tranquilla, che lavora in campagna e non ha tempo per fare altro, se non stare con la famiglia”, dice Ajit Singh, presidente dei Sikh di Anzio. “In Italia - aggiunge - stiamo molto bene e non ci sono mai stati problemi con la gente”. “Questo è un atto di linciaggio, un fatto terribile - accusa Amendeep Huldip, che è venuto in Italia da bambino - Se avvengono cose come queste senza un motivo, e comunque non ci sono motivi che le giustifichino, dobbiamo cominciare a preoccuparci”.le tute blu: «Ci rubano il lavoro»
Inghilterra, lavoratori in piazza
contro gli operai italianiProtesta contro un’azienda che ha inviato nel Lincolnshire tecnici specializzati provenienti dal nostro Paese
I lavoratori in piazza (Reuters) DAL NOSTRO INVIATO
LONDRA - Migliaia di operai britannici sono scesi in sciopero per protestare contro altri lavoratori: italiani. È successo che una azienda italiana, la Irem, ha vinto regolarmente una gara d’appalto per costruire un nuovo impianto ad alta tecnologia in una raffineria della Total nel Lincolnshire, Nord dell’Inghilterra. Una commessa da 200 milioni di sterline. Ma nel cantiere la Irem ha portato un nucleo di tecnici specializzati venuti dall’Italia e da altri Paesi europei. Mercoledì le maestranze della Total hanno cominciato a protestare, sono scese in sciopero sostenendo che gli italiani “rubano i nostri posti”; hanno organizzato picchetti e issato cartelli con la scritta “British jobs for British workers”: questa frase, Lavori britannici ai lavoratori britannici, era stata lanciata l’anno scorso dal primo ministro laburista Gordon BrownGuarda il video delle proteste
LA PROTESTA - Sono arrivati i cronisti dei giornali locali, di qualche tabloid londinese pronto a montare sulla storia degli «stranieri ladri di lavoro». Si sono mossi anche i sindacati, per sostenere che la Total avrebbe dovuto dare la preferenza alle aziende e alla manodopera del posto, già colpita dalla crisi. La compagnia francese ha risposto che la società italiana si è portata i suoi tecnici perché aveva bisogno di gente esperta e che nessun locale è stato licenziato, quindi non c’è stato proprio nessun furto di posti. Comunque lo sciopero va avanti ormai da tre giorni e si sta allargando ad altre regioni della Gran Bretagna: da North Killingholme, villaggio nel Nord dell’Inghilterra citato sulle carte geografiche solo perché’ lì c’è la grande raffineria della Total teatro dello scontro, la protesta si è diffusa al Galles e anche alla Scozia. Da caso locale, è diventata la prima notizia dei tg della Bbc. Il ministro dell’Ambiente Hilary Benn è intervenuto per dire che gli inglesi «hanno il diritto di ricevere una risposta» dal governo.
SCANDALIZZATI - «Noi chiediamo solo che Gordon Brown mantenga la sua promessa: British jobs for British workers», gridano le tute blu inglesi, gallesi e scozzesi che sono unite da scioperi di solidarietà in una mezza dozzina almeno di impianti. Nessuna solidarietà per i circa trecento italiani venuti con la Irem e che sono alloggiati su una nave. I fotoreporter li hanno scrutati con i loro teleobiettivi per catturare immagini degli “usurpatori”: qualcuno di loro ha reagito mostrando il dito medio o con il gesto dell’ombrello. I tabloid hanno finto di scandalizzarsi di fronte alla maleducazione.
Genova, gli ateobus UAAR ‘tornano’ in circolazione
Pubblicato da Marcella De Carli
Ho ricevuto oggi questa notizia tramite il gruppo di facebook “Vogliamo i bus atei in tutta Italia!!!” e , volentieri, diffondo
Avrebbero dovuto sfilare per la città dicendo che Dio non esiste, ma sono stati bloccati dalla concessionaria degli spazi pubblicitari che li trovava lesivi delle convinzioni religiose. Oggi gli ateobus hanno ottenuto il semaforo verde per un nuovo slogan e si preparano a dare ai genovesi due notizie allegre: “La buona notizia è che in Italia ci sono milioni di atei. Quella ottima è che credono nella libertà di espressione”.
«Dopo tutto l’inatteso bailamme per i vecchi ateobus, - spiega Raffaele Càrcano, segretario generale dell’Uaar - volevamo lanciare un altro messaggio: volevamo dire che, tra gli italiani, uno su sette è ateo o agnostico, anche se politici, media e aziende municipalizzate non ne tengono conto. La nostra è una campagna per la loro visibilità, perché più visibilità significa meno discriminazione e più rispetto». La IGP Decaux, la concessionaria degli spazi pubblicita-ri della società di trasporti genovese, ha dato il via libera al nuovo slogan, al posto del prece-dente: “La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno”.
Intanto la Uaar non ha desistito con il vecchio slogan, anzi. Il gruppo Facebook che sostiene gli ateobus ha già 4000 sostenitori e sono stati raccolti 23 000 euro di donazioni per metterli in circolazione in altre città. «Non desistiamo perché è in gioco la libertà di espressione: – insiste Carcano – dobbiamo ribadire che, per la nostra Costituzione, credenti e non credenti hanno gli stessi diritti, compreso quello di dire “Dio c’è” o “Dio non c’è”».Comunicato stampa Uaar
L’Uaar ha diffuso questo comunicato perché la notizia, a sua insaputa, era già trapelata sulla stampa. Ne ha infatti dato notizia questa mattina Repubblica, nella cronaca di Genova, e la notizia è stata prontamente ripresa dal Secolo XIX e dall’ANSA.
Nota tecnica: l’UAAR ha deciso di parlare di “un italiano su sette” in base ai dati forniti dall’ultimo rapporto sulla libertà religiosa redatto dal Dipartimento di Stato Americano, non certo sospettabile di simpatie nei confronti dell’ateismo e dell’agnosticismo. Vi si può infatti leggere che “the most recent data indicate that approximately 14 percent of the population identifies itself as either atheist or agnostic“.
Lettera aperta di una maestra ai pedagogisti italiani
Pubblicato da Marcella De Carli
creato da Maria Rosaria Cimino 27/01/2009
Questa lettera nasce principalmente da un dubbio che già da qualche anno mi perseguita e che le ultime decisioni sulla scuola hanno notevolmente esasperato: noi operatori e operatrici, teoriche e teorici dell’educazione siamo veramente consapevoli di ciò che, in assenza di qualsiasi controllo democratico, si sta facendo e decidendo sulla scuola? Del disegno di società che si va prefigurando? E questo, ci interessa?
I grembiulini, il 5 in condotta, la bocciatura alle elementari, la riduzione delle ore di lezione, l’aumento progressivo del numero di alunni per classe, il depotenziamento del sostegno ai diversamente abili, la soppressione di interi istituti scolastici, accanto all’inamovibilità dell’insegnamento della religione cattolica ed all’introduzione del maestro unico (termine evocativo di pensiero unico?), mi sembrano elementi più che sufficienti a veicolare un’idea di scuola non più inclusiva ma classista, non più educativa ma autoritaria e omologante, non comunità ma istituzione totale volta al consenso.
Forse sarò un po’ estrema nelle mie deduzioni, ma è netta la sensazione che nella prospettiva emergente la scuola sarà destinata a fornire spessore culturale al compito finora assolto dai mass-media: spegnere ed intorbidire ogni capacità critica, addomesticare il pensiero divergente veicolando disvalori e falsa democrazia.
Non che mi aspetti una levata di scudi dal mondo accademico, da sempre un po’ reticente ad esplicitare il proprio pensiero al di fuori delle aule universitarie, ma mi farebbe piacere sapere cosa dirà, a partire da oggi, chi quotidianamente spiega il senso dell’educazione e le teorie della pedagogia a futuri “improbabili” insegnanti: forse che sarebbe meglio frequentare un corso per conduttore televisivo o, perché no, di esperto di marketing, visto che la scuola del futuro sarà prioritariamente impegnata a reperire fondi e sponsor che ne garantiscano la sopravvivenza?
Sono realmente indignata e, forse, incapace di mantenere la giusta distanza emozionale per una valutazione obiettiva, ma ciò non mi impedisce di pensare che ridurre la complessità dei fenomeni educativi ad un’ottica economicista o meramente normativa non sia una svista, ma una scelta consapevole: l’estrema semplificazione favorisce un approccio minimalista ai problemi e, di conseguenza, l’accettazione di soluzioni a basso grado di elaborazione.
Non dovrebbe essere necessario scomodare Lewin per avere chiara l’idea che la scuola è parte del sistema sociale generale e, come tale, interagisce, condiziona ed è condizionata dal tutto.
Non posso e non voglio “vivere”in una scuola caserma dove il controllo sostituirà la relazione, la repressione il dialogo, il giudizio la valutazione e dove dubbio, critica e memoria non avranno alcun diritto di cittadinanza.
E’ ancora possibile unire specificità e competenze educative per dare insieme un orizzonte di senso a ciò che si va decidendo per tutti noi? Mi auguro di sì.