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Alle fontane, seconda e terza puntata

L’ho incontrato il giorno dopo il vigile delle fontane. Mentre andavo al mercato spingendo il passeggino, in lontananza mi ha riconosciuto e sorriso. Erano in coppia (anche i vigili urbani?).

E’ stato cortese, mi si è avvicinato e si è in qualche modo giustificato (non scusato) per il suo comportamento, spiegando che alla fin fine avevo ragione, che era andato a verificare e che aveva trovato solo dei bambini che giocavano con l’acqua. E mi ha confermato che però nel frattempo era uscita una pattuglia (speciale per i rom) dalla sede centrale.

Abbiamo scherzato, io, lui e il suo collega, sulle paranoie della gente e ho avuto la sensazione che il mio gesto, il mio essermi rivolta a lui offesa per il suo non essere stato equilibrato nel gestire la situazione, sia stato importante. Una piccola goccia. Proprio piccola.

Perchè poi il pomeriggio stesso è stato bruttissimo quello che ho visto.

Un caldo africano ha spinto la maggior parte delle persone a casa o al fresco, ma io avevo forzatamente da passare un po’ di tempo fuori e, da madre snaturata quale sono, ho steso un telo all’ombra di un albero per la piccola e ho lasciato che miei due bimbi “grandi” si bagnassero in mutande (!) alle fontane.

La piazza era deserta, solo due anziane su una panchina, un gruppo di una quindicina di preadolescenti in piena tempesta ormonale e quattro bambini.

Quattro bambini chiaramente stranieri, poveri, malconci, magri di una magrezza preoccupante, con tagli e ferite, e segni di malattie della pelle. Quattro bambini grandicelli che con due “grazielle” scassate si buttavano tra gli spruzzi ridendo come i piccoli, gioiosi.

Quattro bambini che solo per il fatto di essere quello che sono possono diventare oggetto di violenza da parte di coetanei.

Per tutto il pomeriggio alcuni dei ragazzini presenti li hanno aggrediti verbalmente, minacciati e offesi.

Quando sono arrivata nella piazza una più o meno dodicenne robustina, aggressiva e urlante stava “facendo brutto” (si dice ancora così) con il più grande, due occhi verdissimi e la faccia di uno che non ce la può fare. Lo minacciava, accompagnata da un ragazzino alto e grosso il doppio di lei, dicendogli cose del tipo “te ne devi andaaaaaaaare…..hai capiiito pezzo di meeeeeeeerda!”. Un sequenza di parolacce davvero encomiabile (io non ne conosco tante, anche se il mio essere cresciuta a Baggio mi ha fornito un discreto vocabolario). Sono intervenuta chiedendole quale fosse il problema. Farfugliamenti e parolacce. Allora, al suo allontanarsi, le ho chiesto di controllarsi, perchè c’erano lì anche i miei bambini a giocare e non gradivo che conoscessero tutto il suo colorito linguaggio. Mi ha risposto che i miei figli si potevano anche tappare le orecchie, ma lo ha fatto con gli occhi bassi e vergognandosi, cosa che mi ha fatto desistere dall’infierire ulteriormente di fronte al branco.

Sono rimasta ad osservarli. E’ stato un continuo balletto tra l’avvicinarsi, l’allontanarsi e il puntare i quattro, che nel frattempo continuavano a giocare con l’acqua delle fontane. Ad un certo punto la ragazzina ha superato quella che io stavo considerando come “distanza di sicurezza”, così mi sono alzata, ma non sono arrivata in tempo. Un pugno in pieno petto. Così. Per niente. Nel petto magrissimo di un ragazzino ferito dalla vita. E quindi un urlo. Acuto. Acutissimo. Spaventoso. Il pianto di un bambino piccolo che non riesce a respirare e che non capisce.

Al mio avvicinarsi il gruppo si è dileguato. Il ragazzino con gli occhi verdi, faticando a tirare il fiato, piangendo, ha cercato di dirmi che voleva il suo papà. Io, trattendo le lacrime e sorridendo davanti ai miei figli, accarezzandolo gli ho chiesto scusa, gli ho detto che mi dispiaceva per quello che gli avevano fatto. Lui ha capito e mi ha continuato a dire “io non fatto niente, io non fatto niente!!!!”

Ho pensato che quello che mi angosciava non era il gesto della ragazzina, idiota, ma il silenzio del gruppo. Mi è sembrato così evidente che il male stesse in quell’incapacità di reagire degli altri che ho deciso di avvicinare alcuni di loro, nel frattempo scioltisi in gruppetti minori. Tre bimbe appena cresciute mi hanno risposto imbarazzate, cercando di giustificarsi e di dire che non c’entravano nulla. E invece è proprio qui che si sbagliano, perchè, ho detto loro, non prendere una posizione, non prendere anche le distanze, non dire “basta” è complicità.

Questo è il nostro Paese.

I quattro bambini sono tornati alle loro famiglie, non nel campo nomadi ma più probabilmente nella favela dell’ex istituto Marchiondi.

Sgomberato ieri.

Tre piccole storie straniere in poco più di un’ora

Ieri.

Alle tre e dieci sono in macchina e vado verso casa. Sono allegra, calma, non ho fretta e non c’è traffico. Fa un caldo torrido e Francesca si è addormentata svenuta sul suo seggiolino con il suo solito dito in bocca. Alla fermata della 58 in via Costanza c’è una ragazza, è straniera (filippina, credo), sola sotto il sole con l’aria stanca. Ecco, d’istinto accosto e le chiedo se vuole un passaggio, così…Lei al momento non capisce, poi sì, ma andiamo in direzioni diverse e ci salutiamo senza imbarazzo. Sorridenti.

Alle quattro fuori da scuola di Sebastiano. Un signore sulla quarantina (ma ne dimostra almeno dieci di più) mi ferma e mi chiede dei soldi. Io, complice una situazione di delirio dei due bambini, non lo ascolto, faccio spallucce e mi allontano. Carico i bimbi in macchina e lui mi raggiunge, ha l’aria di uno che si vergogna e mi fa vedere un foglietto preso da uno di quei blocchetti pubblicitari delle aziende farmaceutiche; sopra ci sono scritti i nomi di due farmaci per il cuore (uno lo conosco) con i prezzi a fianco per un totale di circa 12 euro. Cerca di spiegarmi che sono per sua moglie, mi fa segno con la mano che ha preso una botta alla testa perchè è caduta e poi si tocca il cuore. Gli do un euro ma non capisco bene. Lui mi guarda con la faccia di uno che non sa più che cosa fare, davvero. Allora proviamo a parlare, capisco che è bulgaro (!), mi dice che abita in zona Lorenteggio, gli chiedo in quale ospedale abbia portato la moglie e capisco che non ce l’ha portata, mi dice solo “no…farmacia”. Allora chiamo Tommaso che mi cerca il numero e l’indirizzo del NAGA, gli spiego che è per tutti, anche per chi non ha il permesso, di andare, di non avere paura. Intanto Francesca piange e lui si preoccupa per lei. Ci lasciamo e lui è imbarazzato, fa un gesto bellissimo, mi prende la mano e me la bacia. Fa per andarsene ma un attimo dopo con le lacrime agli occhi mi dà un bacio sulla guancia, sincero, bello e riconoscente. E ride.

Alle quattro e venti sono al quartiere degli Olmi a prendere Marte che esce da scuola. Mentre parcheggio sento un tipo che parla con il vigile alle strisce pedonali di una situazione “insostenibile” alla piazza delle fontane. La piazza delle fontane è una piazza vicina alle scuole costruita in maniera tale che da terra escano dei getti d’acqua alti più o meno un metro, non funziona mai, ma in questi giorni l’hanno accesa e con questo caldo è davvero bello e divertente. Cerco di capire di quale situazione parli e solo dopo, dallo sguardo di una ragazza rom lì presente, capisco che parla di “zingari che si fanno il bagno….e nudi!!”. Il buon vigile immediatamente chiama la centrale per comunicare che c’è “un problema alla piazza delle fontane”, che mandino una pattuglia. Non ci posso credere e allora vado a vedere con i miei occhi. Ed eccoli i delinquenti, quattro ragazzini (il più grande avrà avuto tredici, quattordici anni, altri due sui dieci anni e una bimbetta piccola di circa sei anni) che giocano e si bagnano (come del resto poco più tardi faranno i miei figli e molti altri bambini). Chiedo a degli amici e mi riferiscono che l’unica nudità che si è vista è stata quella della bimba a cui hanno cambiato i vestiti. Allora torno dal vigile e gli faccio presente la situazione, gli dico che mi fa impressione che lui non abbia nemmeno verificato la veridicità della cosa, lui si giustifica dicendo che non avrebbe potuto dovendo stare a presidiare le strisce pedonali, che se un cittadino gli comunica un problema lui è tenuto a girarlo alla centrale, io gli ribatto dicendo che il suo dovere è anche quello di gestire gli animi delle persone che gli si rivolgono, che questi sono gli stessi che fanno la voce grossa con dei ragazzini rom e che poi stanno zitti di fronte alle prepotenze dei mafiosi della zona. Il vigile annuisce e si giustifica dicendomi che la gente è un po’ fuori e che una volta l’hanno chiamato per schiamazzi e ha trovato un nonno che stappava lo spumante per festeggiare il nipotino. Non mi ha fatto ridere.

Storie straniere

Ho deciso di aprire una nuova categoria alle “storie straniere”, ovvero a quei racconti di vita vera a dimostrazione di come la nostra sia già una società multietnica.

Chi legge il blog me li può continuare a mandare come commento a questo post, io provvederò a pubblicarli.

Grazie ancora a chi a voglia di condividere qualcosa di apparentemente semplice e banale, ma che di questi tempi diventa prezioso diffondere.

Il cortile di Eleonora

Nel mio cortile, che è mooolto multietnico!

La storia: al piano di sopra abitano delle 5 (6?) bambine, tutte femmine, chiamate amichevolmente dagli altri ragazzi del cortile “le pakistane”.
Notare che il “branco” dei giovani del cortile è così composto:
1 italiano (mio figlio)
3 del Salvador
2 marocchini
2 tunisini
6 pakistane, appunto
questi sono i “fissi”, poi ci sono quelli che vengono lì ogni tanto - un altro bel mosaico di provenienze.
Loro, i bimbi, giocano tutti insieme, tra urla e strepiti, giochi di emarginazionazione sessista (tu sei femmina/ maschio e quindi evidentemente non puoi giocare) o di discriminazione legata alla “carriera” (sei troppo piccolo/a, cosa vuoi sapere…lascia stare…).
E io, nel privilegiatissimo ruolo di mamma del piano terra, (per di più proprietaria di due gatti che osservano questi bipedi agitati dalla porta finestra, e che sono osservati con curiosità a loro volta) li conosco tutti.
Loro sono integrati, veramente, anche le pakistane, che non lo erano fino a qualche anno fa. Giocano insieme, si conoscono…litigano persino o fanno accordi e squadre.

Ma le mamme o zie delle pakistane non lo sono per niente: sono invisibili, escono di rado - a spazzare il ballatoio - parlano escusivamente tra loro e non capiscono - o non vogliono rispondere - a nessun contatto che gli si propone. Gli uomini non si vedono MAI.

La mamma (e la nonna) dei due bimbi tunisini parlano poco, ma sorridono e salutano. Idem per la famiglia marocchina (mamma con due figli) che però non salutavano e non avevano alcun contatto col cortile fino a quando il padre è morto.

Da quel momento, forse per necessità, o per cessazione ipso facto di una probabile proibizione, adesso so che lei è Maria, la mamma, che mi saluta e mi regala una bottiglia di moscato - che lei non beve, è mussulmana - e mi chiede se l’aiuto ad invasare una piccola piantina che ha in mano, che non sa neanche lei perchè l’ha comprata, “forse non ho resistito a questo colore così forte, questo bel giallo, come quello delle terre del mio paese…”

BJ

Un breve racconto di speranza. Grazie ad Antonella Loconsolo che lo ha scritto.

Si chiama BJ, sono andata a prenderlo alla Malpensa la prima settimana di settembre. Un’ora di controlli, per questo pericoloso criminale: sei anni, nato in Italia, andato a stare dalla nonna in un paesino a 600 km. da Manila perchè la mamma doveva curare i bambini degli altri. Ora la mamma ha un lavoro più stabile ed è andata a riprenderselo. Giù dall’aereo si guarda in giro con una faccia stanca e assonnata, non dice una parola di italiano. Arrivati a casa gli offro un pangocciolo, dà un morso, poi lo getta dalla finestra aperta, giù dal primo piano, sul viale Fulvio Testi. Speriamo che il Mulino Bianco non lo sappia. E’ stato fortunato: niente classe ponte per lui. Una bella classe di tutti i colori dell’arcobaleno dove è stato accolto con una festa e dove ogni oggetto è stato contrassegnato da un cartello col nome in italiano scritto bello colorato. Ogni tanto viene da me a giocare, se la mamma deve fare qualche ora extra per pagare l’affitto. L’altro giorno l’ho sentito parlottare in italiano mentre faceva combattere qualche Gormito. Ho pensato, ci siamo, ecco un piccolo nuovo italiano. E, per un attimo, ho pensato che questo paese ha ancora un futuro.

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