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La correzione degli errori
Pubblicato da Marcella De Carli
Nella direzione dell’infondere fiducia si muove anche l’atteggiamento nei confronti dell’errore: l’insegnante montessoriana deve dimostrarsi capace di accettare gli errori e di gratificare gli sforzi. L’intervento dovrà essere limitato mentre è necessario essere generosi nell’incoraggiamento e nell’affiancamento.
“Qualunque cosa sia fatta nella scuola da insegnanti, da bambini o da altri, ci sono sempre errori. Nella vita della scuola deve entrare il principio che non è importante la correzione, ma il controllo individuale dell’errore, che ci dice se abbiamo ragione o no. Io devo sapere se ho lavorato bene o male, e, se prima avevo considerato l’errore con leggerezza, ora esso mi diventa interessante. Nelle comuni scuole un alunno sbaglia senza saperlo, inconsciamente o con indifferenza, perchè non è lui che deve correggere i propri errori, ma è l’insegnante che se ne incarica. Quanto è lontano quel procedimento dal campo della libertà! Se io non ho l’abilità di controllare i miei sbagli, devo rivolgermi a qualcuno che può non sapere meglio di me. Quanto è più importante invece capire gli sbagli che si fanno e sapersi controllare……
….La possibilità di procedere consiste in gran parte nell’avere libertà ed una via sicura, ed i mezzi di dire a noi stessi se e quando sbagliamo. Quando riusciamo a seguire questo principio nella scuola e nella vita pratica, non importa che l’insegnante o la madre siano o no perfette. Gli errori commessi dagli adulti hanno un che d’interessante, e i bimbi simpatizzano con essi, in maniera però completamente staccata. Diventa per loro un aspetto della natura, ed il fatto che tutti possiamo sbagliare provoca nel loro cuore un grande affetto; è una nuova ragione di unione tra madre e bambino. Gli errori ci avvicinano e ci fanno più amici: la fratellanza nasce meglio sul sentiero degli errori che su quello della perfezione. Se uno è perfetto non può più cambiare: due persone perfette messe insieme per solito combattono fra loro perchè non vi è possibilità di mutare e di capirsi.”
(Maria Montessori - L’errore e il suo controllo - da “La mente del bambino, pag.246/247)
Insegnare senza reprimere
Pubblicato da Marcella De Carli
“Quando dico: - Nelle nostre scuole non si insegna, è l’ambiente che fa tutto-, dico anche bisogna intendersi su questa parola ’insegnare’. Non è vero che questa maestra non insegni mai e che lo sviluppo del bambino nell’ambiente avvenga come una reazione chimica tra due elementi: messo nel nostro ambiente, si educa automaticamente.
No, non è così. L’adulto insegna, anzi molto. (…). Insegna più che negli altri metodi, perché insegna tutto, mentre di solito si insegnano poche cose.
Solo che non insegna nel senso comunemente inteso di far apprendere al bambino qualcosa. Per raggiungere tale scopo la maestra (di tali scuole) ha un’arte per cui può trasmettere la conoscenza richiamando l’attenzione del bambino oppure userà le lusinghe del premio e le minacce del castigo. Il bambino deve prendere la cosa – una poesia, un lavoro da eseguire – come il maestro gliela dà e solo allora questi è soddisfatto.
Questo insegnamento che si pone a forza nel bambino, nella nostra scuola non c’è. In questo senso non insegnamo, ma indichiamo, presentiamo, dando sempre al bambino la possibilità di vedere da sé l’esito della sua azione: come si trasporta una sedia (senza fare rumore); come si versa l’acqua in un bicchiere (senza spanderla intorno); come si spazza (senza lasciare sporco in giro). Il piacere di fare bene è unito al bisogno di esattezza e questo al controllo dell’errore che il bambino stesso può compiere…
(Maria Montessori, dalla X conferenza ak XV corso internazionale, Roma 1930)
La preparazione dell’insegnante montessoriana
Pubblicato da Marcella De Carli
Alla domanda: “Che cos’è il suo Metodo?” Maria Montessori rispondeva: un aiuto alla vita che si svolge in ogni bambino.
Chiunque aderisca a questo pensiero deve accettare di mettersi in gioco e di rivedere il proprio vissuto giorno per giorno, abbracciando l’idea che per formare gli altri sia necessario formare prima se stessi.
Insegnare è innanzitutto un lavoro di grande revisione su di sè.
Il bambino, con i suoi bisogni e con la sua capacità di coinvolgere, è in grado di mettere in discussione le certezze dell’adulto; ecco allora che se l’insegnante si viene a trovare su una linea di revisione continua del proprio lavoro e anche della propria persona, l’esperienza con i bambini (insieme alle difficoltà che questa comporta) può essere affrontata come una risorsa, alternativamente, se l’adulto si sente “arrivato” finisce per porsi in un atteggiamento di pregiudizio secondo il quale “è il bambino che sbaglia”.
“Il primo passo per un’insegnante Montessoriana è l’autopreparazione. Essa deve tener viva la sua imaginazione, perché nelle scuole tradizionali l’insegnante conosce il comportamento immediato dei suoi scolaretti e sa che deve aver cura di essi e cosa deve fare per istruirli; mentre l’insegnante Montessoriana ha davanti a sé un bimbo che, per così dire, non esiste ancora. Questa è la differenza principale. Le insegnanti che vengono nelle nostre scuole devono avere una specie di fede che il bambino si rivelerà attraverso il lavoro. Esse devono staccarsi da ogni idea preconcetta che riguardi il livello a cui i bambini possono trovarsi.”
(Maria Montessori - Preparazione dell’insegnante Montessoriana- da “La mente del bambino”, pag 275)
La disciplina
Pubblicato da Marcella De Carli
Gli adulti considerano la disobbedienza una sfida, come se l’obbedienza fosse cosa ovvia, un’equazione: ”Il rapporto con l’adulto raggiunge il massimo quando il bambino obbedisce”.
Il bambino che disobbedisce viene considerato “cattivo”, come se la bontà corrispondesse ad un bambino fermo, tranquillo, che non si muove e non si agita.
Nell’inconscio collettivo c’è un grande disagio di fronte ad un bambino che non obbedisce.
Diventa necessario porsi degli interrogativi: “Che cos’è l’obbedienza? Noi come adulti ci sentiamo di dover obbedire a qualcuno? Perché?”.
Non è forse vero che aderiamo alle regole se le sentiamo nostre, se riconosciamo l’autorevolezza di chi le fa rispettare?
In un paragone con la legge data a Mosè nella Bibbia, Maria Montessori sottolinea come nell’educazione siano importanti le due “L”: legame e legge.
Non si può pretendere la disciplina, poiché non è una cosa ovvia sapere “obbedire”. Perché il bambino aderisca alle richieste che gli vengono mosse è necessario che egli abbia instaurato una relazione con chi gliele muove, che abbia creato un legame.
Inoltre l’obbedienza è un’espressione dello sviluppo e di conseguenza segue sempre delle tappe, non è pensabile che sia un fatto spontaneo.
Non si può chiedere ad un bambino quello che lui non è in grado di dare; è importante valutare l’età e il momento, dare tempo.
Il bambino conosce l’obbedienza, perché da quando è nato ha obbedito alla mente assorbente, manifestando disagio quando il suo lavoro di assorbimento non poteva seguire il suo ritmo naturale: il bambino obbedisce a leggi di natura, ma spesso sono gli adulti che gli impediscono di farlo.
Se l’adulto allora lo segue, lo rispetta e obbedisce con lui a queste leggi, nel bambino nascono fiducia e stima nei confronti di questa persona; se vengono rispettati i suoi bisogni, diventa naturale la corrispondenza con l’accettazione del limite e il bambino si mostra capace di accogliere i “no”.
Chi lavora con i bambini deve tenere in considerazione che ciascuno di loro è portatore di vissuti differenti e che l’organo psichico della volontà è ancora incompleto nel bambino fino a 5/7 anni.
A 2 anni, l’età del “no”, il bambino realizza di avere una volontà: l’adulto cercherà di capirlo, di accoglierlo, mantenendo la fermezza nelle decisioni, praticando strade di contorno.
A partire da questa età si può aiutare il bambino nel cammino verso l’obbedienza, caratteristica che serve per sviluppare il senso critico e quindi anche per imparare a disobbedire.
La maestra deve saper riconoscere la diversità del mondo dell’infanzia da quello degli adulti: spesso a parole si dice che i bambini sono diversi dagli adulti, ma poi questi finiscono per trattarli come se fossero uguali a loro.
E’ necessario pensare al presente, a ciò che il bambino vuole fare oggi, non al fatto che questo gli servirà domani (anche se poi sarà così): se si pensa ad un bambino che impara a salire e scendere dalle scale, ad esempio, si deve tenere presente che il motivo che lo spinge a farlo è il piacere di fare, non vive la motivazione futura, non sa che gli servirà.
Il bambino gode nell’imparare, obbedendo alle leggi di natura: se viene lasciato libero di sperimentare il proprio limite nelle sue azioni avverrà in lui un cambiamento.
Nasce così una sorta di autoguarigione, la scoperta di un nuovo piacere a stare con gli altri, che si fonda su un mutamento profondo dell’individuo.
Il processo di normalizzazione, come lo definiva Maria Montessori, avviene attraverso l’attività
“ Il lavoro perfeziona interiormente il bambino; ma il bambino che si è perfezionato lavora meglio e il lavoro migliorato lo affascina, quindi continua a perfezionarlo interiormente.
La disciplina dunque non è un fatto, ma una via, sulla quale il bambino conquista, con precisione che potrebbe dirsi scientifica, il concetto della bontà.
Ma più che altro assapora i godimenti supremi dell’ordine interiore che si raggiunge a traverso le conquiste conducenti al proprio fine.”
( Maria Montessori – La disciplina nella Casa dei Bambini – da “La scoperta del bambino”, pagg.332/333)
Il limite al senso di onnipotenza del bambino viene allora dato indirettamente, nell’organizzazione del lavoro, a piccoli passi.