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L’amore di mia nonna
Pubblicato da Marcella De Carli
L’amore di una nonna è fatto di piccole cose.
L’uovo sbattuto di mattina a colazione.
La favola di cappuccetto rosso alla sera nel lettone durante la settimana in cui i tuoi genitori sono in viaggio.
La pomata da mettere nelle narici quando, dice, hai il naso secco.
La transpulmina sul petto.
Chiederti di cantare ancora una volta “nonna ninnonina”.
Accettare che per un vezzo da dodicenne tu decida che la chiamerai per sempre “noni”.
Lavare di nascosto il Bobo mettendone a rischio definitivamente la tenuta. Non chiedere perché a 17 anni uno senta il bisogno di dormire con un peluche.
I cappelletti fatti sul grande tavolo a ferragosto. Non arrabbiarsi se le nipoti nel trasportarli li trasformano in un unico blob.
Insistere nel recuperare la polenta avanzata in tutti i modi possibili. Soprattutto al “gratèin”.
Invitarti a pranzo almeno tre volte la settimana.
Dirti sempre che sembri un po’ “patita” anche quando sei in evidente sovrappeso.
Entrare in casa arrampicandosi da una finestra per vedere come mai a vent’anni stai ancora dormendo di domenica mattina alle undici. Beccarsi così l’appellativo di “nonna-ragno”.
Pregare sant’Antonio da Padova perchè il tuo gatto torni a casa.
Preoccuparsi scoprendo che la luce della finestra del tuo bagno è accesa alle 4 di mattina. E non pensare male ma telefonare per sapere se va tutto bene.
Condividere il tuo dolore raccontandoti di quando anche lei ha visto morire la sua mamma giovane, tacendo il suo strazio di madre che ha perso una figlia.
Cercare di capire oltre il proprio credo e vedere la spiritualità oltre la propria superstizione.
Dirti con la semplicità di un bambino che la nascita di tua figlia ha “ricomposto” la famiglia.
Per tutto questo, per tanto altro, per tutto l’amore, grazie noni.
Tra ns
Pubblicato da Marcella De Carli
Da un po’ di tempo non vedo entrare e uscire nessuno. Forse perchè fa freddo e il cortile non si vive come d’estate, quando tutti sanno tutto di tutti.
Non ricordo nemmeno più da quanti anni vivono qui, ma saranno almeno otto o nove perchè forse ero incinta del mio primo figlio.
In un appartamento di venti metri quadrati in cinque, sei, a volte più persone. Tutte transessuali. Tutte sudamericane, per lo più brasiliane.
La prima fu Valeria. La sua posta arrivava a nome di un certo Elio. Era lei. Bellissima, una super donna. Io e la mia vicina la guardavamo dal ballatoio e ci chiedevamo come facesse a essere tanto bella, mentre usciva con le sue amiche e aspettava il taxi che l’avrebbe portata a lavorare.
Era lei la regina incondizionata. Ed era allegra e davvero simpatica.
Il cortile spesso sembrava un certo estetico, mentre qualcuna si spinzettava le sopracciglia altre si pettinavano, così, sedute sulle sedie davanti a casa. Erano scene divertenti, alcune piuttosto surreali, anche perchè alla luce del giorno, fatta salva Valeria, senza il trucco e i vestiti super sexy i corpi in trasformazione e non necessariamente aggraziati prendevano il sopravvento sull’immaginario notturno (vedasi colei che benevolmente avevamo soprannominato “Mike Tyson”).
Una domenica sera siamo tornati da un week-end fuori Milano, stanchi, con i bimbi addormentati, e appena varcata la soglia della corte ci siamo ritrovati in mezzo ad una mega festa con musica e cibo e palloncini e risate e balli. Magnifico. Il compleanno di Valeria.
Questo per dire che c’è stato un tempo in cui la convivenza poteva anche essere un po’ “rumorosa”, ma comunque alla luce del sole.
Poi, un giorno, Valeria è crollata. Era un pomeriggio in cui l’ho sentita urlare in cortile. Diceva che non poteva entrare in casa, che c’era in casa un uomo con un coltello, che la voleva uccidere. Giurava che fosse nascosto dentro dentro l’armadio.
Abbiamo chiamato i carabinieri, ma in casa non c’era nessuno. Dopo questo episodio Valeria è sparita e il clima è cambiato. Le ragazze che sono restate hanno iniziato e cercare di non farsi notare e dare meno “fastidio” possibile.
Non posso dire di averle conosciute bene, qualche scambio di battute (soprattutto sulle mie varie “pance”), ma la loro presenza mi ha reso in qualche modo partecipe di un mondo che non conoscevo. E mi ha obbligato a farci i conti REALMENTE.
Ho visto chi sono i loro clienti. Spesso mi sono ritrovata a commentare “incredibile, chi l’avrebbe mai detto?!?”. Perchè sono tanti i giovani, carini, anche tipi che potresti immaginare facilmente con la fidanzata. Distinti signori. Eleganti. Bravi padri di famiglia. Quelli che non ti immagineresti. O forse sì.
Dopo la scomparsa di Valeria un’unica altra regina l’ha sostituita, Samantha. Anche lei davvero bella, di una bellezza che difficilmente si conosce. Di quelle che mettono un po’ soggezione. Aveva un’amica bassetta e simpatica che si chiamava Paola. Con Paola ho scambiato più di qualche battuta sul loro Paese e sull’Italia e su cose più piccole, iniziavo, con naturalezza e senza forzature, e conoscere meglio la realtà che le interessava.
Poi ci sono state le vacanze estive, l’anno scorso.
Ero al mare quando ho letto questo articolo sul giornale.
Oggi c’è di nuovo tranquillità in cortile.
Un’ora sola ti vorrei
Pubblicato da Marcella De Carli
“lucciola lucciola vien da me… dai piccola che ce la fai a dormire, mettiti giù….no, non te la do la tetta, non è sera, hai appena mangiato la pappa, è la nanna del giorno…..lucciola lucciola vien da me… dai, non succhiarti il piede, non è buono…ahahah…dai, smettila di ridere, prova a dormire…”
Ehm, stiamo provando a smettere, ormai ha più di quattordici mesi, ma facciamo entrambe un po’ di fatica. Così, ovviamente, cedo e le offro il seno, lei si rilassa e chiude gli occhi, con la mano mi stringe ritmicamente il braccio come fanno i gattini mentre prendono il latte, provo ad allontanarmi ma lei mi cerca ancora, alla fine mi stacco, Francesca trova il suo dito e si addormenta.
Li amo i miei figli, di un amore che non si dice e non si racconta, che riconosco bene quando uno di loro non sta bene o è in difficoltà per qualcosa. Un amore doloroso.
Marte, Matteo Arturo (come il papà della mia mamma), con le sue domande difficili e le sue sensibilità, il mio cucciolo grande, impegnativo e affascinante, che ieri ha deciso che in piscina si sarebbe portato un pezzo di polistirene, di quello che abbiamo usato per l’isolamento del tetto, da utilizzare come materassino e che ha coinvolto anche suo fratello nel progetto. Ed eccoli i miei bambini, che normalmente devo forzare a camminare, avventurarsi da soli per il campo in salita portando sulla testa ciascuno il suo pannello.
Tian, Sebastiano (il più bel nome che conosciamo, tralasciando il fatto che con il cognome Tagliabue gli segnerà un destino da prelato), dolcissimo e fragile, ostinato nel bene e nel male, un omino che ti apre il suo mondo se non gli fai del male, che viene a chiedermi se lo aiuto a prendere il bob in cantina perché lui è l’unico rimasto senza mentre gli altri scivolano giù per il prato. E siamo in luglio.
Fresca, Francesca (come la mia mamma), bimba nuova, allegra e vivace, che si fa sentire per tutto il borgo quando vuole qualcosa, veloce sulle sue gambette storte mentre si lancia vestita nell’acqua alta della piscina, sorridente appena la ripesco.
E’ una vita ricca, piena, felice, quella che sto vivendo. E’ anche una vita faticosa, che abbisogna di tante energie, che vorrei avere infinite, ma che non sempre ho.
Sto affrontando momenti che definirei epici, quotidiani lavaggi di pavimento con Francesca che mi si infila tra i piedi, mentre Marte tenta di fare i compiti sommando alla sua normale difficoltà di concentrazione il disturbo di Tian che gli fa dispetti. Ognuno vuole le sue attenzioni e i suoi spazi.
E qui, sola, nel paese dei miei nonni, in un pezzo di quella che fu la casa di famiglia, diventa quasi tangibile per me l’assenza di mia madre, dell’unica donna che, da sempre, aiuta un’altra donna nell’avventura della propria maternità.
La mia mamma, poi, sarebbe stata bravissima a farmi ridere aiutandomi a vedere l’aspetto comico di tutte le situazioni. Ci sarebbe stata senza bisogno di chiedere. Con intelligenza, tatto e rispetto. E senza volere nulla in cambio.
E’ un’assenza che non si sostituisce, un vuoto che si riempie solo con i ricordi, una presenza che sopravvive nella capacità di amare che mi ha lasciato.
Eluana, che la morte ti sia dolce
Pubblicato da Marcella De Carli
Siamo coetanee, più o meno. E lo riconosco soprattutto dalle tue foto, quelle che ti ritraggono coi capelli lunghi e il ciuffo da un lato, con le sopracciglia folte. Andava di moda così in quegli anni, ce le ho anch’io delle foto mie simili.
Eluana, io in questi anni sono cresciuta, diventata donna, ho potuto viaggiare, amare, avere dei figli. Non è stato così per te.
Ed ecco come vive ancora oggi Eluana: i suoi occhi si aprono e si chiudono seguendo il ritmo del giorno e della notte, ma non ti vedono. Le labbra sono scosse da un tremore continuo, gli arti tesi in uno spasimo e i piedi in posizione equina. Una cannula dal naso le porta il nutrimento allo stomaco. Ogni mattina gli infermieri le lavano il viso e il corpo con spugnature. Un clistere le libera l’intestino. Ogni due ore la girano nel letto. Una volta al giorno la mettono su una sedia con schienale ribaltabile, stando attenti che non cada in avanti. Poi di nuovo a letto.
“Malgrado non soffra direttamente per il suo stato, dovrebbe essere chiaro a tutti che la sua condizione è priva di dignità. Di lei rimane un corpo privo della capacità di provare qualsiasi esperienza, totalmente nelle mani del personale che la assiste. La sua condizione è penosa per coloro che la assistono e che hanno ormai perduto da tempo la speranza di un risveglio e per i suoi genitori, che hanno perso una figlia ma non possono elaborarne compiutamente il lutto”.
Che la morte ti sia dolce. Contro chi non ti ama e che oggi ha tentato di fermare l’ambulanza buttandosi sul cofano.
Che la morte ti sia dolce. Che non giungano a te quelle voci ipocrite riunite in preghiera.
Che la morte ti sia dolce. Ti giunga l’amore di tutti noi che amiamo la vita. E che la rispettiamo.
Che la morte ti sia dolce. E che la vita ricominci per chi ti ama. Per sempre con te.