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La conquista dell’indipendenza

Perché il bambino possa sperimentare l’indipendenza è necessario che gli venga dato a disposizione tutto ciò di cui ha bisogno a seconda della sua età, che possa esercitare la libera scelta e che l’intervento dell’adulto sia il minimo indispensabile richiesto, poiché “ogni aiuto inutile è un arresto allo sviluppo”. Spesso l’adulto tende a sostituirsi al bambino, laddove questi sarebbe in grado di fare da solo secondo i suoi tempi, e a non dare così fiducia. E’ necessario sospendere il giudizio, non dare voti nè mettere i bambini a confronto verbale tra di loro e quindi dare fiducia all’azione del bambino, la stessa che poi daremo al suo pensiero, ricordando che solo attraverso il lavoro avviene quella che Montessori definisce la “normalizzazione” e che il lavoro del bambino non è uguale a quello dell’adulto.

“L’uomo si costruisce lavorando, effettuando lavori manuali in cui la mano è lo strumento della personalità, l’organo dell’intelligenza e della volontà individuale, che edifica la propria esistenza di fronte all’ambiente. L’istinto dei bambini conferma che il lavoro è una tendenza intrinseca della natura umana, l’istinto caratteristico della specie”
(Maria Montessori - L’istinto del lavoro- da “Il segreto dell’infanzia”, pag 262)

“Quando un bambino lavora, non lo fa per raggiungere un scopo esteriore. Il suo obbiettivo è lavorare, e quando, nella ripetizione di un esercizio, egli pone termine alla propria attività, cotesta fine è indipendente dagli atti esterni. Quanto alla reazione individuale, la cessazione del lavoro non è in rapporto alla stanchezza, perché anzi una caratteristica del bambino è quella di uscire dal proprio lavoro completamente rinforzato e pieno di energia.”
(Maria Montessori - Le caratteristiche delle due specie di lavoro – da Il segreto dell’infanzia” pag.275/276)

Insegnare senza reprimere

“Quando dico: - Nelle nostre scuole non si insegna, è l’ambiente che fa tutto-, dico anche bisogna intendersi su questa parola ’insegnare’. Non è vero che questa maestra non insegni mai e che lo sviluppo del bambino nell’ambiente avvenga come una reazione chimica tra due elementi: messo nel nostro ambiente, si educa automaticamente.
No, non è così. L’adulto insegna, anzi molto. (…). Insegna più che negli altri metodi, perché insegna tutto, mentre di solito si insegnano poche cose.
Solo che non insegna nel senso comunemente inteso di far apprendere al bambino qualcosa. Per raggiungere tale scopo la maestra (di tali scuole) ha un’arte per cui può trasmettere la conoscenza richiamando l’attenzione del bambino oppure userà le lusinghe del premio e le minacce del castigo. Il bambino deve prendere la cosa – una poesia, un lavoro da eseguire – come il maestro gliela dà e solo allora questi è soddisfatto.
Questo insegnamento che si pone a forza nel bambino, nella nostra scuola non c’è. In questo senso non insegnamo, ma indichiamo, presentiamo, dando sempre al bambino la possibilità di vedere da sé l’esito della sua azione: come si trasporta una sedia (senza fare rumore); come si versa l’acqua in un bicchiere (senza spanderla intorno); come si spazza (senza lasciare sporco in giro). Il piacere di fare bene è unito al bisogno di esattezza e questo al controllo dell’errore che il bambino stesso può compiere…
(Maria Montessori, dalla X conferenza ak XV corso internazionale, Roma 1930)

Spunti di riflessione sulla scuola da Grazia Honegger Fresco

Per parlare di scuola da dove cominciare?
Ecco alcuni spunti provocatori:
- I bambini, che dovrebbero essere i protagonisti del proprio processo formativo, sono da sempre recettori passivi di adulti che parlano (in casa come a scuola, del resto) e questo a 2 come a 7 come a 12 come a 16 anni. Ci sono qua e là forme superficiali di partecipazione, ma in sostanza la realtà è un immobile pantano: è come se i bambini (o i ragazzi) avessero solo orecchie per ascoltare, dita per tenere una penna e sfogliare pagine e natiche per stare seduti. E questo è tanto più grave per quanto sono giovani.
No, i bambini e i ragazzi non sono nella mente di nessuno.
- I piccoli del nido sono trattati come adolescenti: tutti in gruppo a fare a comando travasi o pittura. Gli adolescenti sono trattati come bebè: monadi da tenere accuratamente separate - non devono aiutarsi, tanto meno progettare insieme. I bambini delle materne devono riempire schede, colorare figure stereotipate, imparare canzoncine (le solite!) nonché fare lavoretti, di regola “aggiustati” dalle maestre. Quanto alle elementari – strombazzate come le migliori al mondo – i ragazzini sono trattati come adolescenti: cambiano maestra ogni ora o due, hanno testi obbligatori (regalati dallo Stato) difficili da capire anche dai loro genitori; costretti a imparare tutto in astratto, aritmetica e geometria comprese, devono affrontare argomenti complessi, come ad esempio la biologia cellulare o la critica dei film.
- Si protesta contro il maestro unico perché oggi molti insegnanti non vogliono più fare lo sforzo di essere informati anche su storia, anche su musica, anche su… Occorrono esperti su ogni area disciplinare, neanche si fosse al liceo, e non importa se poi l’inglese è parlato da persone con forte accento piemontese o napoletano o se il disegno non ha più niente di personale e di creativo.
Perché piuttosto non si utilizzano due maestri in compresenza per condividere la cura individuale dei loro allievi, alcuni dei quali forse svantaggiati - si tratti del cosiddetto iperattivo o di quello molto lento e un po’ trasognato, del ragazzino sordo o dell’altro appena arrivato dal Maghreb? Altro che classi-ponte! In un’età così delicata e importante per la crescita, come si costruisce un’immagine unitaria e priva di pregiudizi di questo o quel bambino?
C’è una sorta di scarico di responsabilità che non si risolve nelle poche o tante riunioni tra docenti, come dimostra - e pesantemente - la vita nella scuola media, né d’altra parte gli insegnanti ricevono, negli anni della laurea o dopo, adeguata preparazione circa le differenze tra un’età e l’altra e l’attenzione sacrosanta dovuta a ogni individuo per le sue differenze personali.
No, questa non è una scuola su misura dei bambini.
Né quella che abbiamo né quella che vogliono con la riforma darci. È la mia idea. Volentieri mi confronto con la vostra.

Ma la scuola che abbiamo ci piace davvero?

La difendiamo, perchè non si lascia morire un moribondo, perchè quel che di sano rimane stanno cercando di farlo sparire e a quello ci attacchiamo, alle belle esperienze e alle belle persone. Ma non mi sembra sufficiente. Ora che abbiamo fatto di tutto per salvarla, proprio ora dobbiamo anche cercare di ridarle dignità.

Per farlo però è necessario uscire dalla logica di autocelebrazione che molti stanno abbracciando: ben felice di conoscere storie di ottime insegnanti, di bambini felici, di genitori entusiasti, penso che la realtà dei fatti vada almeno un po’ ridimensionata. Esistono infatti bravi maestri e cattivi maestri, così come ottime sezioni e pessime sezioni all’interno di uno stesso istituto, e ottimi istituti e pessimi istituti. Si dirà “che scoperta”, ma sembra che sia vietato dirlo, e allora lo dico.

Una scuola che funzioni sempre e per tutti non può e non deve affidarsi alla fortuna e al caso.

In questo periodo sembrano essersi congelate le critiche sulla scuola che non va, o meglio, sembra che tutto sia causa e colpa d’altri (politiche di ieri e di oggi) e che la responsabilità personale venga meno in un gioco in cui, per unire, non ci si può dire ciò che non funziona.

E’ proprio qui che si perdono consensi, soprattutto dei genitori. Perchè non per tutti l’esperienza scolastica dei figli è la migliore possibile, anzi. Di maestrine dalla penna rossa è ancora piena l’Italia, così come di insegnanti che invocano il voto in condotta come strumento di controllo perchè umiliare i bambini con note e castighi non basta, il tempo pieno con i tempi rilassati non è ovunque ed esistono moltissime realtà in cui alle otto ore a scuola seduti immobili al banco si aggiungono quotidiani compiti a casa.

E allora forse è ora di iniziare a dire che cosa c’è dentro questa scuola che vorremmo, che però ancora non c’è. Almeno non per tutti.

La preparazione dell’insegnante montessoriana

Alla domanda: “Che cos’è il suo Metodo?” Maria Montessori rispondeva: un aiuto alla vita che si svolge in ogni bambino.
Chiunque aderisca a questo pensiero deve accettare di mettersi in gioco e di rivedere il proprio vissuto giorno per giorno, abbracciando l’idea che per formare gli altri sia necessario formare prima se stessi.

Insegnare è innanzitutto un lavoro di grande revisione su di sè.
Il bambino, con i suoi bisogni e con la sua capacità di coinvolgere, è in grado di mettere in discussione le certezze dell’adulto; ecco allora che se l’insegnante si viene a trovare su una linea di revisione continua del proprio lavoro e anche della propria persona, l’esperienza con i bambini (insieme alle difficoltà che questa comporta) può essere affrontata come una risorsa, alternativamente, se l’adulto si sente “arrivato” finisce per porsi in un atteggiamento di pregiudizio secondo il quale “è il bambino che sbaglia”.

“Il primo passo per un’insegnante Montessoriana è l’autopreparazione. Essa deve tener viva la sua imaginazione, perché nelle scuole tradizionali l’insegnante conosce il comportamento immediato dei suoi scolaretti e sa che  deve aver cura di essi e cosa deve fare per istruirli; mentre l’insegnante Montessoriana ha davanti a sé un bimbo che, per così dire, non esiste ancora. Questa è la differenza principale. Le insegnanti che vengono nelle nostre scuole devono avere una specie di fede che il bambino si rivelerà attraverso il lavoro. Esse devono staccarsi da ogni idea preconcetta che riguardi il livello a cui i bambini possono trovarsi.”
(Maria Montessori - Preparazione dell’insegnante Montessoriana- da “La mente del bambino”, pag 275)

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